Sicurezza e stadio
La questione della sicurezza sembra essere il tema predominante con il quale giustificare e portare avanti nuove norme repressive sia all’interno del mondo del calcio che all’interno della società civile. Per ragioni di sicurezza sono stati approvati decreti fortemente limitativi della libertà personale e di quello stesso diritto di associazione e riunione costituzionalmente inderogabile; il Decreto Amato anticipa nuovi regolamenti comunali (si pensi a quello municipale fiorentino, approvato poche settimane fa) che rendono sempre più difficili (se non vietano formalmente) forme di aggregazione e di incontro tra cittadini; la ragione con cui si giustifica queste misure, allo stadio come a Palazzo Vecchio, è la sicurezza.
Con il Decreto Amato abbiamo assistito non soltanto ad una repressiva limitazione della libertà e della autorganizzazione in favore di una rigida regolamentazione, ma anche allo sviluppo di un prepositivo processo di creazione e mutamento della realtà sociale; la ghettizzazione, il controllo e il monitoraggio preventivo di alcune realtà sociali sono più facilmente attuabili, dopo che si è avuto come banco di prova lo stadio.
Gli stadi si svuotano mentre i contratti televisivi aumentano, i tifosi occasionali (preferiti ai pochi ultras che spendono e sacrificano tempo, denaro e interessi per una viva passione) riempiono gli stadi per le partite di cartello, salvo poi tornare ad isolarsi nei salotti a vedere Sky; il momento aggregativo perde importanza (privato anche del “colore” di una curva: megafoni, tamburi, etc.), sacrificato agli interessi del tele-tifoso; gli stadi diventano sempre più aree rigidamente controllate, con ingressi freddi e simili a prigioni, dove è difficile manifestare la propria emotività e sentirsi liberi. “Ultras” è ormai diventato un termine al quale si è portati ad una connotazione negativa, così come l’ “immigrato” viene sempre più spesso associato a fatti di cronaca nera e condannato dai media prima ancora che dai tribunali: e le due definizioni sembrano essere diventate aggravanti per ogni eventuale reato commesso.
La passione e l’attaccamento ai colori passano in secondo piano rispetto a calcoli economici ancor prima che ad oggettivi problemi di sicurezza; con la stessa logica, si pensa a costruire nuovi stadi che non siano più luoghi di incontro e di espressione di una passione irrazionale quanto sana, ma che siano sempre più simili a centri commerciali.
Il tifoso diventa cliente, lo spazio di aggregazione diventa spazio di consumo, la diversità diventa omologazione, la sicurezza diventa controllo.
I motivi di ordine pubblico che vanno limitando gli incontri nelle piazze, così come le trasferte, riducono i momenti di libera espressione, confronto e divertimento, aumentando la solitudine e il disagio sociale.
Sarebbe interessante chiedersi se questi decreti (i tornelli, la vendita dei biglietti in maniera non sempre trasparente, l’istituzione di un apposito osservatorio per vietare le trasferte) siano state in realtà efficaci o semplicemente abbiano reso più freddo e razionale uno dei pochi momenti di incontro dove si poteva ancora essere se stessi, seguendo passioni e rispettando valori che la società contemporanea sembra aver messo in secondo piano.
Sarebbe interessante chiedersi se le nuove leggi sono nate per rispondere ad effettivi pericoli o non siano, in realtà, prodromi e creatrici di una tensione che ne autoalimenta e ne giustifica l’esistenza: e in ragione di quali interessi questo processo sia stato portato avanti