…E ORA? / riflessioni di fine ottobre verso un momento comune

Quest’anno è stato strano. L’8 ottobre eravamo tantissimi. Eravamo tantissimi e ci siamo riversati nelle strade, nelle piazze, al di là di ogni controllo e di ogni limite, spontaneamente, gioiosi e incazzati, con l’unico obiettivo di ripartire più forti di sempre e manifestando la nostra rabbia per prenderci una volta per tutte il nostro futuro.
Il grande afflusso di studenti al corteo ci ha poi trasmesso il coraggio, e la voglia di occupare le scuole. Le prime quattro che hanno dato il via, e poi un continuo riflusso di blocchi, sgomberi e rioccupazioni, attaccati con le unghie e con i denti a quattro mura che sentiamo nostre e che volevamo lo diventassero realmente.
Quest’anno è stato strano. Eravamo in pochi, ma c’eravamo. Eravamo cinquanta, settanta, cento, centocinquanta. Ma c’eravamo. E c’eravamo noi, non c’erano purtroppo tutti gli altri; sebbene la maggior parte condividesse i contenuti e le motivazioni che ci animano, erano in totale disaccordo con la nostra pratica di lotta, finendo, magari loro malgrado, per ostacolarci con “metodi di protesta alternativi”, vanificando il concetto di lotta stessa. Ci dicono che facciamo “cose illegali” per il puro gusto di farle, ma il punto è che quello che per noi è giusto fare l’hanno reso “illegale”. Sono attaccati a parole come “legalità” e “diritto allo studio”, quando sono gli stessi contro cui lottiamo tutti a determinare i limiti e il significato di questi termini. Hanno continuato per giorni a vagheggiare un’ipotetica collaborazione con presidi e professori: professori che sono sempre buoni a dirti “lottiamo insieme”, ma che si sono scordati che cosa vuol dire lottare. Vuol dire metterci la faccia e il culo per il nostro presente e il nostro futuro, riappropriandoci di spazi che sentiamo ci spettino di diritto, dove stare insieme e formarci insieme, dove quello che facciamo e il modo in cui scegliamo di muoverci non è approvato da nessuno se non da noi. Noi i professori li volevamo: li volevamo con noi più di tutto, perché se lottiamo insieme siamo più forti, li volevamo a fare assemblee nelle scuole occupate e a darci una mano per organizzarci al meglio, ma soprattutto a cercare di capirci, e a chiedersi “e se fossi stato al loro posto?”. Invece purtroppo, per la maggior parte, ci hanno dimostrato che l’unico posto che sanno ricoprire è il loro. Che non sono disposti a liberarsi una volta per tutte degli schemi a cui siamo abituati, ad arricchirsi e ad arricchirci.
Queste occupazioni sono state una sconfitta? Non è questo il punto su cui dobbiamo fermarci a riflettere. L’occupazione di per sé è la vittoria più grande. Perché si impara a convivere in situazioni di pura e semplice uguaglianza, in una comunità formata, gestita e organizzata da noi. Perché si ha il tempo di fermarci un attimo, di riflettere, di confrontarci, di volerci bene e sentirci veramente compagni. Compagni di viaggio, di lotta, di arrembaggio alla vita.
C’è da dire che tutti questi problemi ci hanno fatto rimanere chiusi nelle nostre piccole comunità, a cercare con tutte le forze di tenerle in piedi. Questo ha fatto sì che, a partire dal corteo di mercoledì mattina, tutte le iniziative cittadine non avessero la risonanza e la partecipazione che potenzialmente avevano, esponendoci a rischi di repressione maggiori (non a caso 22 studenti del Miche sono stati denunciati dal preside Primerano e in piazza sono scattate tante intimidazioni e tante denunce). Come se non bastasse, poi, il nuovo prefetto Padoin decide di impedire il passaggio dei cortei da San Marco, fulcro delle lotte, studentesche e non, da decine di anni, rendendo così “illegale” l’ennesimo luogo di aggregazione e limitando la nostra libertà.
Ora è arrivato il momento di una boccata d’aria. Respiriamo, fermiamoci a riflettere, prendiamoci i nostri tempi. Siamo riusciti a bloccarlo, il tempo, per quanto possibile, nei momenti in cui eravamo insieme a occupare. Ora c’è bisogno di un altro momento, di acquistare capacità di coordinarci, di moltiplicare i momenti di socialità e aggregazione e di tornare a vivere e a esplodere come sappiamo di essere capaci di fare.
Diamoci un obiettivo e costruiamo un percorso insieme, fatto di assemblee, di momenti comuni per strutturare in modo completo e arricchire di contenuti la data di mobilitazione generalizzata del 17 Novembre, giornata mondiale di mobilitazione studentesca. Prepariamoci a un momento di sciopero generale, arriviamoci carichi e convinti, lasciamo che i nostri corpi e i nostri pensieri circolino liberi!

Questo percorso inizieremo a costruirlo, nelle parole e nei fatti, ogni lunedì alle 3 alla facoltà di Lettere, in piazza Brunelleschi.

Rete dei Collettivi Fiorentini

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5 risposte a …E ORA? / riflessioni di fine ottobre verso un momento comune

  1. ALBERTO AGLIETTI scrive:

    scusate l’italiano sono geometra…

  2. ALBERTO AGLIETTI scrive:

    Premessa: dall’anno prossimo non sarò più presente nella scuola ( si spera ) ne medio ne universitario , di fatto quindi se parteciperò a proteste o movimenti di lotta lo farò in maniera marginale.
    Messo in chiaro questo volevo dare un commento spassionato sulla riflessione .
    Mi sta bene tutto , i passaggi sui professori e il loro atteggiamento , le considerazioni sul limite di legalità e anche il darsi un obbiettivo nonchè un percorso comune …però una domanda grossa cela dobbiamo porre( e in molti sela pongono da un annetto buono) le occupazioni sono producenti o no?la risposta è univuoca ..no.
    c’è una data che separa la protesta di larga partecipazione ( esauritasi nell’8 )da una serie di fallimenti ( inutile cercare di chiamarli in altro modo ) quali il corteo di mercoledi mattina e i blocchi che dovevano essere tanti e sparsi di venerdi …la data è il 9 ottobre (o forse il lunedi) insomma la data di inizio occupazioni.
    L’occupazione è deleteria perchè esaurisce le nostre energie , è causa dello scemare della protesta , disorganizza invece di dare ordine .
    Inoltre genera una situazione praticamente irrecuperabile a livello di partecipazione ( mi riferisco a tutti i vostri compagni , sicuramente ne avrete , che messi sottotorchio da professori e magari da questanno preoccupati per il numero di assenze filano dritti dritti in classe ).
    L’occupazione viene spesso proposta per due motivi essenzialmente : 1-come metodo di lotta , 2- come metodo per informare / creare una sorta di coscienza di collaborazione.
    Come metodo di lotta non c’è bisogno di commenti, la nostra storia recente parla da sola ,combattere un sistema con l’occupazione delle scuole è esattamente come combattre un esercito con una fionda.
    Come metodo di informazione etc. vi prego di valutarne gli effetti ..molti di voi che leggerete il commento mi potreste rispondere che proprio voi siete stati influenzati positivamente dall’occupzione ..ma fate uno sforzo provate a dare una percentuale di coloro che hanno fatto il vostro percorso… secondo me è sotto lo 0,… quindi di fatto non efficente nemmeno sotto sto punto di vista.
    2 anni fa le occupazioni hanno svolto un ruolo fondamentale hanno rotto una sorta di muro e tanto di cappello a chi per primo si è prodigato in questo senso , successivamente però avremmo dovuto fare tesoro dell’esperienza acquisita.
    Non cadete nella trappola del ” chi rema contro all’occupazione è un moderato perchè fa come dice il preside.” .. cosi ragionano i bimbi .
    cazzo te ne frega di cosa dice il preside l’occupazione non la devi fare per tutte le ragioni dette sopra , o meglio falla ma di strade e stazioni! se il preside è contento che non occupate cazzi sua .. noi dobbiamo ricercare un efficacia nel metodo di lotta il parere di presidi e questura non ci devono sfiorare .
    Voi che restate , che l’anno prossimo sarete ancora studenti fate tesoro delle esperienze ..non date spago a chi vuole farsi una vacanza di ottobre e non fatevi usare da loro che puntualmente vi sfruttano per rilassarsi una settimana …scegliete ciò che ritenete giusto non ciò che vi fa più comodo.

  3. TheBogusSpeculator scrive:

    non aspetta altro che il primo gruppetto con megafoni e striscioni che cada in qualche provocazione messa in piedi apposta

    si ma perchè? proprio perchè saremmo solo un piccolo gruppetto, se ci organizzassimo per bene in tutta italia sono convinto che gli faremmo il culo. leggi, petizioni, liste civiche e quant’altro, a mio parere non servono più a un beneamato (da chi poi non si sa) c***o, l’unica soluzione è farli c****e in mano e fargli capire che ci siamo rotti i cosiddetti, finchè non si sentiranno in pericolo serio continueranno a fregarsene altamente di noi gentaglia

  4. TheBogusSpeculator scrive:

    il prefetto nega ilpassaggio di cortei a s. marco? e passiamoci lo stesso, se poi caricano basta essere venuti preparati e rispondere alla violenza con laviolenza, in barba a ghandi e gesù cristo

  5. Nessuno può rimproverare all’esecutivo in carica di non star tenendo fede alle promesse elettorali: avevano promesso che avrebbero fatto della penisola italiana un immenso carcere, ed è questa l’unica cosa in cui il “governo” si sta concretamente impegnando nei momenti liberi lasciati dalle risse e dai regolamenti di conti che costituiscono la prima e vera maniera che costoro hanno per impiegare la propria giornata.

    Il governo dello stato che occupa la penisola italiana non ha alcun mezzo, in tempi di globalizzazione, per intervenire positivamente su eventi anche minimi: la legittimazione popolare, dal momento che sono anni ed anni che basta aderire ad un partito istituzionalmente rappresentato per essere considerati come appestati da tutti gli astanti, gli viene solo dall’allarmismo gazzettiero messo al servizio della repressione.

    Ora, la città di Firenze è un po’ particolare perché qui le forze di governo dello stato che occupa la penisola italiana, oltre a godere di una giusta e persistente impopolarità, sono rappresentate da individui dall’evidente e spettacolosa incompetenza. I quattro quinti del “lavoro” di costoro nelle sedi istituzionali consiste nell’allagare di comunicati gli uffici stampa. E questi comunicati, quando non ciarlano d’i’ddegrado e della ‘nsihurézza si occupano in modo pressoché esclusivo di pallone, pallonai, palloneria e pallonieri.

    Difficile pensare ad un recupero di consensi affidato a questo manipolo di mangiatori di maccheroni.
    Occorre tentare altro, sempre nel solco degli intenti di cui sopra.
    Come andammo illustrando a suo tempo, è probabile che a rimettere le cose al loro posto ci abbia provato uno grasso di Scandicci, guarda caso nell’imminenza di una scadenza elettorale, che ottenne l’esito diametralmente opposto a quello sperato.

    D’altronde, quando uno è grasso, è grasso.

    Invece di pensare a dimagrire, lo stesso è stato costretto ad annaspare in materia di e-mail anonime pur di non perdere visibilità.
    C’è motivo di pensare che la materia gli sia stata tolta dalle manine, e che in altissime sfere si sia pensato che un giretto di vite in più tramite ordinanze non avrebbe stonato eccessivamente. Del compito è stato investito un tale specializzatosi nel settore a Padova e a Torino, il quale ha pensato bene di incentrare il proprio discorso di insediamento sul pallone, sulla palloneria e sul pallonaio. Anche in questo nulla da eccepire: la rappresentanza è una cosa seria e dev’essere il più fedele possibile.
    A questo signore tuttavia rispondono le pletoriche ed occhiute gendarmerie che permettono ogni giorno ai gazzettieri a libro paga di presentare un paio di schiaffi dati ad un buono a nulla con la cravatta come se fossero l’inizio della guerra civile.
    In un “paese” dove è sufficiente esprimere ad alta voce un parere negativo a proposito di questa o quella roba di pallone per vedersela con la polizia politica, con ogni probabilità c’è chi non aspetta altro che il primo gruppetto con megafoni e striscioni che cada in qualche provocazione messa in piedi apposta: si dà la stura alla feccia gazzettiera, e si avvia la “normalizzazione” di una Firenze nota in tutta Europa per il senso di responsabilità, la compostezza ed il comportamento sostanzialmente costruttivo di attivisti politici, occupanti e manifestanti, ma inemendabilmente colpevole di esistere.

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